IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli atti del procedimento n. 6224/92 r. g.i.p. nei confronti
 di Del Commoda Aureliana, nata a Perugia il 16 giugno 1953,  indagata
 in  ordine ai reati di cui all'art. 594 del c.p. a seguito di querela
 presentata da Capponi Francesco in data 2 novembre 1991;
    Vista  la  richiesta  di  archiviazione  formulata  dal   pubblico
 ministero in data 3 agosto 1992;
    Vista  l'opposizione  alla  suddetta  richiesta,  presentata dalla
 parte offesa Capponi Francesco in data 12 settembre 1992;
    Rilevata l'ammissibilita' dell'opposizione;
    Ritenuta la non manifesta infondatezza della notitia criminis;
    Rilevato  che  nel  procedimento  pretorile   l'opposizione   alla
 richiesta di archiviazione e' regolata dal disposto di cui al primo e
 al secondo comma dell'art. 156 delle disp. att. del c.p.p.;
    Rilevato  che il comma secondo del citato articolo rinvia all'art.
 554, secondo comma, del c.p.p., laddove e'  previsto  che  il  g.i.p.
 provveda  de plano e non secondo la procedura di cui all'art. 127 del
 c.p.p.;
    Preso  atto  della  difforme  previsione  normativa  relativa   al
 procedimento  dinanzi  al  g.i.p. presso il tribunale, essendo in tal
 caso previsto dal combinato disposto degli artt. 410, terzo comma,  e
 409,  secondo,  terzo, quarto e quinto comma, del c.p.p. che le parti
 pubbliche e private, con esclusione delle parti offese non opponenti,
 vengano convocate per l'udienza in camera  di  consiglio  fissata  ai
 sensi dell'art. 127 del c.p.p.;
    Rilevata, quindi, la mancata previsione nel procedimento pretorile
 di  una regolare instaurazione del contraddittorio tra le parti ed in
 particolare la negazione di una qualsivoglia facolta'  di  intervento
 dell'indagato  nella  fase  di  chiusura  delle indagini preliminari,
 quale invece prevista nel procedimento di tribunale;
                             O S S E R V A
    L'art.   156,   secondo   comma,   delle  disp.  att.  del  c.p.p.
 testualmente esclude il potere-dovere del g.i.p. presso la pretura di
 convocare le parti per un'udienza camerale ai sensi dell'art. 127 del
 c.p.p.  allorche'  la  persona  offesa  proponga   opposizione   alla
 richiesta  di archiviazione avanzata dal p.m. Cio' sembra contrastare
 con l'art. 3 della Costituzione sotto un duplice  profilo.  In  primo
 luogo si evidenzia una disparita' di trattamento non giustificata tra
 le  diverse  parti  del procedimento ed in particolare tra la persona
 sottoposta alle indagini e la persona offesa opponente.
    Inoltre la stessa ingiustificata disparita' di trattamento  sembra
 sussistere tra l'indagato in un procedimento pretorile ed il soggetto
 che   assuma  la  medesima  posizione  nel  procedimento  dinanzi  al
 tribunale.
    La norma della cui costituzionalita' si dubita in questa  sede  e'
 stata  invero  gia'  sottoposta  al vaglio della Corte costituzionale
 (ordinanza del g.i.p. presso la pretura di Termini Imerese in data 20
 maggio 1991, in Gazzetta Ufficiale 11 settembre 1991, n. 36).
    Il giudice remittente opinava che l'art. 156, secondo  comma,  del
 c.p.p.  cagionasse un'ingiustificata disparita' di trattamento "tra i
 soggetti  che  nella  loro  qualita'  di  parte   offesa   propongono
 opposizione  alla  richiesta  di  archiviazione formulata dal p.m. in
 relazione ad un reato di competenza pretorile e quelle  parti  offese
 che,  invece,  tale  opposizione  spieghino innanzi al giudice per le
 indagini preliminari presso il tribunale".
    La Corte costituzionale (sentenza 21 febbraio-9 marzo 1992, n. 94)
 dopo  aver  precisato   che   la   lamentata   differenziazione   tra
 procedimento pretorile e procedimento davanti al tribunale non appare
 ravvisabile in alcune, non marginali ipotesi e che con la sentenza n.
 445/1990 la stessa Corte ha operato una tendenziale equiparazione del
 ruolo  e  dei poteri del g.i.p. presso la pretura a quelli del g.i.p.
 di tribunale, equiparazione comportante  una  correlativa  estensione
 delle  facolta'  della persona offesa, ha individuato nella procedura
 camerale uno strumento volto "non tanto a garantire la persona offesa
 - che ha gia' esposto le proprie ragioni nell'atto di  opposizione  -
 quanto, piuttosto, a consentire al pubblico ministero ed alla persona
 sottoposta    alle    indagini    di    interloquire    sul    merito
 dell'opposizione".
    Tale ratio della procedura camerale, confermata dal punto di vista
 sistematico  dall'art.  410,   terzo   comma,   del   c.p.p.,   rende
 giustificato  e  razionale,  quanto alla persona offesa, il fatto che
 nel  procedimento  pretorile  il  legislatore  delegato  abbia   dato
 attuazione  al principio di "massima semplificazione" di cui all'art.
 2, n. 103, della legge n. 81/1987 evitando  l'appesantimento  indotto
 dalla convocazione delle parti in camera di consiglio.
    Orbene, sembra a questo giudice che le considerazioni svolte dalla
 Corte, se da una parte rendono logico e conseguente l'esito raggiunto
 con riferimento alla posizione della persona offesa del procedimento,
 dall'altra  aprono spazio per l'esame della conformita' dell'art. 156
 delle disp. att. del  c.p.p.  all'art.  3  della  Costituzione  avuto
 riguardo alle facolta' processuali "naturalmente" proprie del p.m. e,
 soprattutto, dell'indagato.
    Partendo  infatti dall'ineccepibile constatazione che la procedura
 camerale, lungi dal costituire una garanzia per la persona offesa, la
 quale ha gia'  potuto  far  valere  le  sue  ragioni  con  l'atto  di
 opposizione,  e'  finalizzata  "a consentire al pubblico ministero ed
 alla  persona  sottoposta  alle  indagini  di interloquire sul merito
 dell'opposizione"  risulta  evidente  che   la   mancata   previsione
 dell'udienza  in camera di consiglio a seguito dell'opposizione della
 p.o.  lede  quell'esigenza  di  contraddittorio  che  e'   necessaria
 precondizione,  ad  un  tempo,  del pieno esplicarsi dei poteri della
 parte pubblica in  ordine  all'esercizio  dell'azione  penale  e  del
 diritto di difesa dell'indagato. A tale riguardo va da se' che negare
 alla  persona sottoposta alle indagini ogni possibilita' di "accesso"
 al giudice per le indagini preliminari allorche' questa possibilita',
 per il tramite  dell'atto  di  opposizione,  e'  offerta  alla  parte
 offesa,   significa   far  venir  meno,  in  un  momento  topico  del
 procedimento, quale quello della decisione sull'esercizio dell'azione
 penale,  il  principio  di  parita'  delle  parti  e  delle  facolta'
 processuali   ad   esse  attribuite,  certamente  essenziale  per  la
 realizzazione di un "giusto processo".
    Diritti e principi del resto ben presenti al legislatore  delegato
 quando,  di  fronte a situazioni processuali assimilabili a quella in
 esame poiche' in astratto foriere di danno per la persona  sottoposta
 alle  indagini (ad esempio richiesta di proroga dei termini di durata
 delle indagini preliminari ai  sensi  del  combinato  disposto  degli
 artt.  553 e 405 del c.p.p.), e' stato apprestato un meccanismo volto
 ad informare l'indagato ed a render possibile un suo  intervento  nel
 procedimento.
    Si  noti al riguardo come le esigenze di "massima semplificazione"
 del  procedimento  pretorile  abbiano   per   tale   ultima   ipotesi
 determinato,  rispetto  al  giudizio  per  reati  di  competenza  del
 tribunale, l'esclusione in ogni caso  dell'intervento  in  camera  di
 consiglio   del  pubblico  ministero  e  dei  difensori  e  non  gia'
 l'eliminazione tout  court  della  notificazione  all'indagato  della
 richiesta  di  proroga  e  della  possibilita'  per  quest'ultimo  di
 interloquire sul punto per mezzo del deposito di  memorie  difensive.
 In  quella  fattispecie  si  sono  previste,  in  definitiva, diverse
 modalita' di realizzazione del principio del  contraddittorio  e  del
 diritto  di  difesa, ritenute piu' snelle e "semplificate" rispetto a
 quelle  proprie  del  procedimento  dinanzi  al  g.i.p.   presso   il
 tribunale,  senza  per  questo negare in radice quel principio e quel
 diritto.
    Nell'ipotesi di opposizione alla richiesta  di  archiviazione  nel
 procedimento pretorile, al contrario, si e' esteso il contraddittorio
 sull'esercizio  dell'azione  penale  alla  persona offesa (cfr. anche
 l'obbligo per il p.m. di dare avviso della richiesta di archiviazione
 alla p.o. che ne ha fatto richiesta - art. 408,  secondo  comma,  del
 c.p.p.),  soggetto  ontologicamente  portatore di interessi opposti a
 quelli dell'indagato, proprio mentre quest'ultimo  viene  privato  di
 qualsiasi facolta' di intervento nel procedimento.
    Cio'   che   rende   giustificato   il   dubbio   di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 156, secondo comma,  delle  disp.  att.  del
 c.p.p. alla stregua dell'art. 3 della Costituzione per ingiustificata
 ed  irrazionale  disparita'  di  trattamento  delle diverse parti del
 procedimento.
    Analoghe considerazioni valgono anche per il  pubblico  ministero,
 parte pubblica titolare esclusiva del potere di esercizio dell'azione
 penale,  al  quale  viene negata ogni facolta' di contestazione delle
 tesi e delle richieste formulate  dalla  parte  offesa  nell'atto  di
 opposizione   proprio   allorche'   si   sottopongono   a   controllo
 giurisdizionale le determinazioni da lui prese in ordine al potere  a
 lui  solo riservato dalla legge. Si noti al riguardo che la lamentata
 disparita' di trattamento tra la parte offesa e le  altre  parti  del
 procedimento  appare  ancor  piu'  evidente a seguito dell'espansione
 delle facolta' della persona offesa indotta dalla citata sentenza  n.
 445/1990  puntualmente  segnalata dalla Corte nella motivazione della
 sentenza n. 94/1992.
    La  norma  censurata  appare  in  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione anche sotto un secondo aspetto.
    Infatti,  se  nella fattispecie sottoposta al giudizio della Corte
 con la citata ordinanza del g.i.p. di  Termini  Imerese  l'attuazione
 data dal legislatore delegato al principio di massima semplificazione
 veniva  ad  incidere  una  posizione soggettiva, quella della persona
 offesa,   comunque   ragionevolmente   garantita   nell'ambito    del
 procedimento   sembra  invece  che,  avuto  riguardo  alla  posizione
 dell'indagato,  la  disciplina  codicistica   dell'opposizione   alla
 richiesta  di archiviazione nel procedimento pretorile valga a negare
 in  radice  il  diritto  di  difesa  della  persona  sottoposta  alle
 indagini,  essenziale  alla  realizzazione  di un "giusto processo" e
 come tale incomprimibile per ragioni di snellezza del processo.
    Ne deriva che sotto questo profilo appare  ingiustificata,  sempre
 in  relazione  all'art.  3 della Costituzione, anche la disparita' di
 trattamento  esistente  tra  le  persone   sottoposte   ad   indagine
 nell'ambito di un procedimento pretorile e quelle inquisite per reati
 rientranti nella competenza del tribunale.